Breve saggio critico: opere recenti e ricerca attuale

Giovanna Magugliani è un’artista non venuta dal nulla, ma da una ricca storia di stimoli: sin a partire dal prato fiorito e multicolore del giardino della casa d’infanzia, dai tessuti in ciniglia paterni, passando attraverso il continuo girovagare “stupito” in mondi diversi (Riyad – Bombay – Tripoli – Madrid – Abu Dhabi …) fino a immergersi nel paesaggio e nella storia di civiltà tanto diverse ma ricche di sensibilità, che ben si adattano allo spirito dell’artista.
La sua sensibilità si manifesta infatti al di fuori della “normalità”.

Figlia del “tessile” (o meglio della “ciniglia”), ha trascorso l’infanzia a contatto col “colore” brillante e “pazzesco” di quel tessuto fabbricato dal padre, “maestro d’arte”.

La “febbre” intrisa nel colore, l’ha portata a seguire gli studi al Liceo Artistico, a studi di grafica ed ancora a proseguire la ricerca da autodidatta.

Il confronto – scontro con i “maestri” di pittura e scultura di quel periodo (Pellini, Frattini, …) le ha creato le basi per una sua personale ricerca, ma più meditativa.

Un altro evento che ha condizionato la sua ricerca espressiva è il matrimonio con Pino, ingegnere, girovago per il mondo. E’ il Pino (“Tolomeo” in una sua opera) il centro del suo universo oltre che il “padrone di casa”. Per una nomade come l’artista Giovanna, è la certezza tolemaica che la sua “terra” è centro del “suo grande universo”; che il suo Pino (“vergine”, quindi segno di “terra”) è un punto stabile di riferimento continuo, la sua certezza di guardare un cielo sconfinato senza capogiri o paure infinite…

La continua maturazione delle sue opere è cresciuta con il tempo e l’impegno assiduo.
A partire dalla ricerca di una tecnica più confacente al suo spirito ed alla sua pacata inquietudine.
A partire da pitture a pastello su carta, a tempera all’uovo, a pastello su tela e legno, per arrivare all’olio e cera e all’acrilico.

La sua ricerca si è come raffinata, purificata, resa evanescente; nascosta da veli, soffi di vita che danno ai volti, agli occhi, una profondità soprannaturale.
La ricerca è espressa nei volti, negli sguardi, nelle “armonie silenziose” di colori, di velature, nei “fuori scala”: sono colti in un atteggiamento meditativo “orientale” e di attenzione profonda all’animo umano.
E con essi sfilano quasi scene di vita più tradizionali sino a confondersi con evanescenze e sfumature di puro colore, sino a geometrie pure (il cubo di vetro): insomma, la purezza dell’animo trasferita nella purezza della tecnica e del linguaggio.

Le sue opere sono come piccoli frammenti di una grande avventura e ne ritraggono i personaggi che la popolano.
Affascinano per i toni dei colori, ma soprattutto per la loro forza e per il desiderio in esse intrinseco di raccontare nuove storie, che provengono da lontano e che hanno il profumo del mondo orientale.

La Muratora, ragazza incontrata in India, che, nonostante il duro lavoro típicamente maschile svolto sulle strade affollate, sporche e inquínate di Bombay, mantiene tutta la sua seducente femminilità e dolcezza di madre.

Le Archeologhe, ispirato ancora dalle donne che in India vengono assegnate ai lavori di costruzione delle strade, e che, con il loro portare pesanti ceste piene di pietre posate sulla testa, ricordano il lavoro delle archeologhe impegnate negli scavi delle rovine dell’antica Grecia e nei restauri dei capolavori artistici italiani.

L’Immutabile, il ritratto di una donna araba che nasconde il suo volto ed e’ inalterabile nei secoli come il deserto che la circonda.

Deserto Rosso, omaggio all’attrice italiana Monica Vitti, indimenticabile interprete dell’omonimo film del 1964 di Michelangelo Antonioni, in cui la donna vive in uno stato di isolamanto dalla societa’ che non le appartiene, e tenta di nascondere il suo disagio psicologico dietro la sua mano e sente tutta l’immobilita’ del mondo che la circonda, come in un silenzioso ed infinito deserto.

Gli occhi della Malesia, ispirato da un viaggio fatto in quel paese, dove i colori dei lussureggianti giardini tropicali bene si fondono con i vivaci colori degli abiti delle giardiniere e con gli sguardi delle rane che rivelano la loro presenza con il tipico gracidare.

La Medusa, l’elaborazione del volto di un’amica dagli occhi di un intenso azzurro e dal bianchissimo incarnato, che ricordano le chiare acque dove vivono le meduse, e in cui solo le rosse labbra differenziano il frivolo essere umano dal mondo incontaminato delle meduse.

La Tela Bianca, che lascia trasparire la possibilità di infinite esperienze coloristiche ed infinite poesie da incidere.

Le Foglie di Glicine, ispirate alla folta glicine del giardino di casa, nella loro alternanza di luci e di ombre in un giorno soleggiato di tardo Ottobre.

Ed oggi, l’avventura dell’artista continua: e il rivissuto volto di Claudia Cardinale, tratto del film “Il Gattopardo”, realizzato in occasione del Premio alla Carriera riconosciuto all’attrice durante il Film Festival di Abu Dhabi dell’Ottobre 2012, ed esposto nello splendido ambiente delle Etihad Towers di Abu Dhabi, comunica più di una storia, trasforma l’attrice in donna ed il volto in un viso trasognato.

Dott. Arch. Paolo Torresan
Critico d’Arte

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